Calosso: il paese del vino e dei crotin scavati nel tufo

A poca distanza da Canelli e da Costigliole d’Asti, sorge il paese di Calosso, un piccolo centro abitato molto suggestivo, che domina il territorio tra le Valli del Rio Nizza e del Torrente Tinella, due piccoli corsi d’acqua che segnano il vero punto d’incontro tra l’Astigiano e le Langhe.

In questo borgo dalla storia antichissima, tutto ruota intorno alla produzione dei grandi vini piemontesi, come il Moscato d’Asti, il Barbera, il Dolcetto, la Freisa e il Nebbiolo. Negli ultimi anni, alcuni produttori hanno ripreso la coltivazione del Gamba di Pernice o Pernicine, un vitigno che fino a qualche anno fa sembrava essere stato totalmente dimenticato e che invece è tornato alla ribalta per la produzione del Calosso DOC.

Ma Calosso è soprattutto il paese dei crotin, antiche cantine scavate nel tufo, sotto le abitazioni del paese, e usate ancora oggi per l’affinamento dei vini più pregiati e, in passato, per la raccolta dell’acqua e per la conservazione della neve e del ghiaccio, sfruttando le temperature costanti e l’assenza di luce e aerazione. Dopo un periodo di quasi abbandono, molti crotin sono stati recuperati e sono ora visitabili, in particolare durante la Fiera del Rapulè, che si tiene nel mese di ottobre.

Le origini di Calosso

Secondo Dante Olivieri, famoso studioso di toponomastica piemontese, il toponimo Calosso deriverebbe dal termine gentilizio romano ‘Callucius’, ma altre scuole di pensiero lo farebbero risalire a ‘Calocero’, in onore di San Calogero, santo venerato in questo territorio fino alla metà del XVII secolo.

Il primo documento in cui viene citato il borgo di Calosso risale al 960, quando Arimanno de Calocio venne chiamato come testimone di una permuta di terreni da parte di Brunengo, Vescovo di Asti.

All’inizio del XII secolo, il paese entrò a far parte della regione dell’Acquosana, che comprendeva un vasto territorio intorno al Comune di Acqui Terme e molte nobili famiglie locali, legate tra di loro da vincoli feudali e di parentela. Questo consorzio garantiva tutela soprattutto ai feudi minori, che avevano necessità di difendersi contro le mire espansionistiche delle più potenti famiglie Astesane, tra cui gli Asinari, i Roero, i Solaro e i Natta.

Nel 1318, Calosso si trovò al centro di una guerra civile tra la famiglia ghibellina dei De Castello e i guelfi Solaro, che distrussero completamente il borgo. In poco tempo, il paese venne ricostruito e acquistato dal nobile banchiere astigiano Percivalle Roero, ma dopo pochi anni entrò a far parte dei possedimenti dei D’Orléans, grazie al matrimonio tra Valentina Visconti e Luigi D’Orléans.

Il dominio francese su Calosso e sull’Astigiano durò oltre centocinquant’anni, ovvero finché non passarono sotto il controllo dei Savoia all’inizio del Seicento.

Successivamente, con la Pace dei Pirenei del 1659, Calosso perse definitivamente la sua importanza strategica e il suo castello venne trasformato in una residenza di campagna dalla famiglia Roero, la quale promosse la produzione del Moscato d’Asti, che diventò uno dei vini preferiti della Regina Maria Cristina e di molti altri nobili piemontesi.

? Lia V. (Dal Gruppo Facebook Gite fuori porta in Piemonte)

Cosa vedere a Calosso?

Oltre ai crotin, Calosso custodisce un bellissimo centro storico, che ha mantenuto intatto il suo antico impianto medievale, dominato da un poderoso castello e dalla chiesa parrocchiale d’origine secentesca.

Il Castello di Calosso

Il nucleo più antico del Castello di Calosso risalirebbe all’XI secolo, anche se rimangono pochissime tracce della sua prima costruzione, a causa delle successive ricostruzioni e dei rimaneggiamenti che ha subito nel corso dei secoli.

Il Castello di Calosso viene ricordato soprattutto per la morte di Sant’Alessandro Sauli, Vescovo di Pavia, che vi morì nel 1592 durante una visita pastorale, in seguito a un’improvvisa malattia. La morte del Vescovo colpì così profondamente la comunità di Calosso, che nel 1683 la sua stanza venne trasformata in oratorio e il santo divenne patrono del paese.

Dell’antica fortezza cinquecentesca sono rimaste le bocche di fuoco sul lato nord e una massiccia torre cilindrica, ornata con archetti pensili, mentre il portale sormontato dallo stemma dei Roero di Cortanze è chiaramente settecentesco.

All’interno sono di particolare interesse le decorazioni del salone principale, la Cappella dedicata a Sant’Alessandro Sauli, i sotterranei e il bellissimo parco, da cui si può godere di una vista spettacolare su tutto il territorio.

Attualmente, il castello è di proprietà dei Conti Balladore Pallieri, diretti discendenti dei Roero di Cortanze, i quali consentono di visitarlo durante le giornate organizzate dal circuito Castelli Aperti.

La Chiesa parrocchiale di San Martino

Non si hanno notizie certe sulla fondazione della Chiesa parrocchiale di San Martino, anche se il suo impianto architettonico fa pensare che sia stata edificata intorno al XVII secolo, come testimoniano i fregi della sua facciata, molto alta e slanciata e il suo campanile, alto più di 40 metri.

Appena varcato il portone principale si rimane letteralmente incantati per la bellezza della navata centrale, che presenta un tripudio di dorature e decorazioni, così come la cupola che sovrasta il presbiterio e l’arco trionfale su cui spicca uno stemma nobiliare.

L’organo di 1040 canne, di gusto romantico risorgimentale, è opera di Vittorio Vittino di Centallo e venne installato nel 1884, mentre dietro all’altare maggiore si può ammirare uno straordinario coro ligneo, probabilmente settecentesco e proveniente da un altro edificio religioso.

Cosa fare a Calosso: la Fiera dei Rapulè

I rapulè o rapulin d’San Martin erano i grappoli tardivi che i proprietari lasciavano sui loro vigneti dopo la vendemmia, perché non ancora completamente maturi e nati su tralci secondari. Alle persone più povere del paese veniva concesso di raccoglierli in autunno avanzato, affinché potessero produrre il loro vino, chiamato rapulin.

La Fiera dei Rapulè viene organizzata ogni anno dall’amministrazione comunale di Calosso il terzo fine settimana di ottobre e prende il nome proprio dalla raccolta dei “rapulìn”, ovvero i grappoli più piccoli che restano sui tralci dopo la raccolta dell’uva.

La sagra dura due giorni e propone un interessante percorso enogastronomico, che comprende vini e prodotti tipici del territorio, oltre a visite nei crotin del paese per assaporare le migliori produzioni locali.

Inoltre, nei giorni di festa è possibile visitare il Castello di Calosso, eccezionalmente aperto al pubblico dagli attuali proprietari, e partecipare a eventi teatrali e musicali, degustazioni e mostre. Un’occasione unica per immergersi nelle atmosfere incantate e nei sapori di questo bellissimo borgo.


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Caratteristiche

  • Collina
  • Interesse paesaggistico e naturalistico
  • Interesse storico, artistico e culturale
  • Itinerari a piedi
  • Itinerari enogastronomici
  • Itinerari in bici
  • Itinerari in moto

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14052 Calosso (AT)