
Il Carnevale in Piemonte, tra tradizioni secolari, storia e leggende antiche
Ci siamo appena lasciati alle spalle le feste natalizie e già si sente nell’aria il fermento del Carnevale. Una festa dalle origini antichissime, che in Piemonte si declina in tantissimi eventi, tra tradizioni secolari, rievocazioni storiche e figure leggendarie, che raccontano di un passato suggestivo e affascinante.
In alcune città, come Ivrea, il Carnevale è una vera istituzione che coinvolge i cittadini per mesi, con lunghi preparativi per esprimersi al meglio nei giorni che vanno dal giovedì grasso al mercoledì delle Ceneri con manifestazioni, eventi, rievocazioni e feste.
In altre località, invece, diventa un vero rituale di passaggio verso l’età adulta, come nella tradizione dei coscritti, dove i neo maggiorenni, per la prima volta, sono chiamati ad organizzare l’intero evento. E poi ci sono i riti della tradizione alpina, come il Baio di Sampeyre in Val Varaita, che si svolge ogni cinque anni e si rifà alla cacciata dei saraceni, che erano penetrati nella valle per saccheggiarla, con cortei e balli lungo le vie del paese e delle borgate circostanti.
Il termine Carnevale deriva dal latino carnem levare e, anticamente, indicava l’ultimo banchetto a base di carne che si teneva il martedì grasso, il giorno prima che iniziasse il periodo di digiuno della Quaresima.
Raccontare tutti i carnevali del Piemonte diventa molto complesso, perché ognuno ha una sua storia e tradizioni lontanissime nel tempo. Pertanto, cercheremo di presentarvi quelli più grandi, significativi e insoliti, ben sapendo che ce ne saremo persi alcuni altrettanto interessanti.
Il Carnevale di Torino, tra gianduiotti, giostre e feste mascherate
Durante il regno sabaudo, il Carnevale di Torino era uno degli appuntamenti più attesi dell’anno, anche da chi viveva fuori città. Un’esplosione di allegria e colori che improvvisamente rallegra le vie e le piazze eleganti e un po’ austere di Torino, coinvolgendo grandi e piccini in eventi, feste e manifestazioni.
Il protagonista principale del Carnevale di Torino è Gianduia o Gianduja, come amano chiamarlo i più anziani e legati alle tradizioni del territorio. Il suo nome deriverebbe dalla contrazione della locuzione piemontese Gioann d’la doja, che si potrebbe tradurre con “Giovanni dal Boccale”, quasi un titolo nobiliare! Questa maschera popolare nacque all’inizio dell’Ottocento dalle mani esperte di due burattinai piemontesi, Giovanni Battista Sales e Gioachino Bellone, e già alla fine del secolo era una figura popolare, amata da artisti e letterati come Edmondo de Amicis. L’aspetto rubicondo di Gianduja è una chiara rappresentazione del carattere del popolo piemontese: amante delle gioie e dei piaceri della vita e della tavola, ma senza esagerare, schivo e riservato, ma pronto e generoso verso gli altri in caso di bisogno. È affiancato dalla sua compagna Giacometta, una donna saggia e sempre prudente.
Alla figura di Gianduja e al Carnevale di Torino sono legate alcune eccellenze dolciarie, come le caramelle su cui spicca il volto della maschera, prodotte solo nelle due settimane che precedono la manifestazione, i prelibati cri-cri, ma soprattutto i gianduiotti, i cioccolatini simbolo della città.
Secondo la tradizione, i gianduiotti avrebbero una precisa data di nascita, il 1865, ma l’idea di creare un cioccolatino solido a base di cacao e crema di nocciole, risalirebbe a qualche anno prima. In quel periodo, il costo del cacao, proveniente in prevalenza dall’Inghilterra, era salito alle stelle, a causa dei blocchi doganali imposti dalla Francia. Il pasticcere Michele Prochet avrebbe quindi inventato un amalgama meno costosa, contenente nocciole tostate e burro di cacao. Il nuovo cioccolatino, inizialmente chiamato “givu” (mozzicone di sigaro in piemontese), iniziò ad essere prodotto dalla fabbrica Caffarel di Ernesto Alberto, che ancora oggi li realizza e partecipa attivamente alle manifestazioni carnevalesche torinesi. Durante il Carnevale di Torino del 1865, Gianduja lanciò sulla folla questi innovativi cioccolatini, avvolti in una carta stagnola colorata, perché non si sporcassero o deteriorassero a contatto con il terreno, e tutti iniziarono a chiamarli gianduiotti, in onore della maschera torinese, la cui immagine contraddistingue ancora oggi le confezioni della Caffarel.
Oltre alle sfilate di Gianduja e Giacometta lungo le vie cittadine, seguiti da un corteo di personaggi in costume, carri allegorici e gruppi folcloristici, il Carnevale torinese è caratterizzato dalla presenza delle giostre. In passato veniva utilizzata la centralissima Piazza Vittorio Veneto, ma ormai da anni il grande “Luna Park di Carnevale” si è trasferito nel Parco della Pellerina, per la gioia dei bambini e degli adulti, che aspettano tutto l’anno questo momento di gioia e divertimento.
Lo Storico Carnevale di Ivrea, una tradizione che affonda le radici nella storia
A Ivrea, il Carnevale non è solo una festa del divertimento e della trasgressione, ma un vero evento culturale, ricco di simboli e rituali, che intreccia storia, leggenda e antiche tradizioni popolari. Le sue radici storiche affondano nel Medioevo con riti propiziatori, come l’Abbruciamento dello Scarlo o la cerimonia del “Pic e Pala”, a cui sono chiamati a partecipare gli sposi dell’anno precedente, e rievocazioni di eventi storici realmente accaduti.
La prima trascrizione dei rituali del Carnevale d’Ivrea risale al 1808, quando vennero ufficializzati ne I Libri dei Processi Verbali, ma secondo alcuni studiosi venivano già tramandati oralmente a partire dal Settecento. Dietro questo evento, unico nel suo genere, c’è una storia di autodeterminazione della comunità cittadina e di liberazione dalla tirannide.
La leggenda narra che Violetta, la giovane figlia di un mugnaio, si sia ribellata allo Ius primae noctis imposto dal Barone che dominava il territorio eporediese, allo scopo di liberare la città dalla tirannia. La testa del tiranno, dopo essere stata tagliata dalla mugnaia, venne esposta in punta di spada a tutta la popolazione, che insorse, scacciando i dominatori. Questa rivolta popolare viene ricordata da secoli con la Battaglia delle Arance, dove le squadre a piedi di aranceri ricordano il popolo che insorge contro i dominatori, rappresentati da personaggi con maschere protettive a bordo di carri trainati da cavalli. Inoltre, in segno di partecipazione e adesione all’evento, dal giovedì grasso, tutti i cittadini e i visitatori sono tenuti a indossare il tipico berretto frigio, simbolo anch’esso della rivolta popolare, simile a quello indossato dai rivoluzionari all’epoca della Rivoluzione Francese.
La Mugnaia, che ogni anno viene attentamente scelta dal comitato organizzatore, viene accompagnata dal Generale in abiti napoleonici e dal suo Stato Maggiore. La figura del Generale venne introdotta in epoca napoleonica, allo scopo di sedare le rivalità in occasione del Carnevale tra i rioni della città, che spesso si trasformavano in scontri molto violenti e sanguinosi. I vari festeggiamenti vennero quindi riuniti sotto un’unica grande festa cittadina, che ancora oggi emoziona ed entusiasma tutti coloro che assistono e partecipano all’evento. Il Generale assume il suo incarico il 6 gennaio, ricevendo i poteri dal Sindaco, e lo detiene per tutto il periodo della festa.
I protagonisti sono accompagnati anche da altre figure, provenienti dall’antico passato della città, come il Sostituto Gran Cancelliere, che ha il compito di trascrivere e annotare tutti gli eventi ufficiali che si svolgono durante il Carnevale, il Podestà, capo del governo in epoca comunale, responsabile dell’amministrazione e della giustizia, gli Abbà, piccoli rappresentanti delle parrocchie della città, e i Pifferi e Tamburi, una tradizionale banda di pifferai e tamburini che rallegra le vie cittadine con le sue antiche marce e composizioni musicali.
Chi assiste o partecipa al Carnevale di Ivrea non può che rimanerne affascinato per la sua storia straordinaria, la spettacolare Battaglia delle Arance e l’entusiasmo con cui gli eporediesi continuano a tenere viva questa meravigliosa manifestazione.
La Lachera di Rocca Grimalda, un coloratissimo corteo nuziale
La Lachera nasce da antiche tradizioni popolari, che tra danze, riti e rappresentazioni teatrali dovevano propiziare il buon andamento dell’anno. La sua origine storica e leggendaria sembra legata alla rivolta della popolazione di Rocca Grimalda (in provincia di Alessandria) contro il Signore del luogo, che pretendeva di esercitare, anche qui come a Ivrea, lo ius primae noctis sulle giovani spose del paese.
Durante i giorni di Carnevale, per le vie di Rocca Grimalda sfila un colorato e animato corteo nuziale, caratterizzato da suoni, danze, fiori e nastri colorati. I personaggi, armati di spade, fruste e sonagliere, danzano attorno agli sposi, mentre una figura vestita di rosso, probabilmente il diavolo, si insinua tra il pubblico, ridendo e scherzando con le persone che assistono allo spettacolo.

Foto Kezka Dantza Taldea Eibar @Flickr CC BY-SA 2.0
Questo allegro mescolarsi di elementi, apparentemente contrastanti, è tipico di miti e ballate diffusi in tutta Europa già nell’antichità, quando rappresentavano esseri soprannaturali che si incarnavano in personaggi reali. Inoltre, ogni momento della manifestazione viene scandito da diverse tipologie di danze, che ne sottolineano il particolare significato: il primo ballo viene eseguito ininterrottamente dai Lachè, che si muovono con piccoli sgambetti avanzando e retrocedendo reciprocamente, la Giga è invece una vivace ed allegra danza, animata dai Lachè e dagli Sposi, mentre durante il Calisun la Sposa rincorre e scaccia i Lachè. A partire dagli anni Settanta, sono state aggiunte anche la “Curenta dir Butej” e la “Monferrina” danzate da campagnole e mulattieri.
I Lachè, da cui deriva il nome della festa, simboleggiano il potere e l’autorità con i loro copricapi coperti di fiori, simili alle mitre vescovili, mentre gli Sposi occupano una posizione centrale nella manifestazione e ricordano antichi elementi guerreschi e popolari di miti e leggende diffusi in tutta Europa. Sono scortati da due Zuavi, armati di spade e accompagnati da Ballerine, e affiancati da quattro Trampulin, con le cui fruste incutono timore e inducono al rispetto delle tradizioni. Il Guerriero è una figura recentemente rivalutata dagli studiosi, e il Bebè è un personaggio inquietante e ambiguo, che ha il compito di disturbare i danzatori e ricoprirebbe la funzione di buffone. A completare il corteo ci sono le campagnole e i mulattieri, legati alla presenza in epoche passate di conduttori di carri sul territorio di Rocca Grimalda, che esibiscono i prodotti raccolti durante la questua nelle campagne circostanti. Oltre ad assistere alle sfilate del Carnevale, vale la pena visitare il Museo della Maschera di Rocca Grimalda, dove vengono conservati i costumi della Lachera delle passate edizioni.
Il Carnevale dell’Orso di Sfojass a Cunico, un vero rito propiziatorio
Solo negli anni dispari si tiene a Cunico, in provincia di Asti, il Carnevale dell’Orso di Sfojass, una figura a metà tra l’animale e il vegetale. Si tratta di una maschera ancestrale che rappresenta un orso, rivestito con foglie di mais inumidite e arricciate per formare una voluminosa pelliccia.
L’orso, oltre a un cospicuo bagaglio di foglie secche, porta con sé antiche credenze popolari, secondo cui se l’orso, uscendo dalla tana, vede una luna propizia, potrà annunciare l’arrivo imminente della primavera. Quando l’animale giunge sulla piazza del paese, il pubblico gli urla: “Orso marino, fai sentire la tua voce!” e l’orso risponde inferocito, urlando e strepitando. L’aggettivo marino fa riferimento a un vento caldo, che solitamente soffia nei primi giorni di febbraio, preludio di giorni ancora invernali nel periodo successivo. In passato, i contadini temevano questo vento, perché da esso dipendeva la fine dell’inverno e l’inizio della bella stagione.
Durante il corteo, sfilano anche altre figure, come le Quaresime, uomini che indossano abiti femminili, i selvatici e i contadini, che sono invece donne travestite da uomini. Questi personaggi rincorrono l’orso in fuga fino a catturarlo e costringerlo a ballare una danza collettiva, che coinvolge anche tutto il pubblico. Una volta terminata la danza, l’orso è costretto a fare testamento e a fuggire definitivamente nelle campagne e nei boschi, riprendendo la sua vita nella natura incontaminata.
Ciò che resta dell’orso e delle foglie secche viene bruciato in un grande falò al centro della piazza, mentre il pubblico si scalda, mangiando polenta e bevendo vin brulè, in attesa del ritorno dell’orso nei due carnevali successivi.
La tradizione del Carnevale in Piemonte è davvero molto variegata e interessante. Ogni manifestazione racconta un territorio son le sue straordinarie tradizioni, storie, leggende e particolarità. Un modo di sicuro emozionante, divertente e curioso per conoscere le tante sfumature del nostro territorio e apprezzarlo ancora di più.